Daniela Bellotti "Antologia di Scritti sull'Arte"                                                                                                                  Gli artisti
CARLO BAZZANI

Galleria Sant'Isaia,
Bologna, 1995

 

Presentazione della mostra,

testo in catalogo

 

Un'attenta lettura storica e critica deve saper individuare e porre nel giusto rilievo fatti e circostanze che danno un'impronta originale all'esperienza di un artista. Talvolta, però, ad uno studio scevro da pregiudizi, si sovrappone, quasi impercettibilmente, il taglio di una metodologia più rigida, aprioristica, che tende a ridurre entro parametri codificati individualità più sfumate e ricche.
E' quello che mi pare sia capitato a Carlo Bazzani: gli aspetti salienti della sua vita e delle sue scelte pittoriche sono stati da tempo individuati e raccontati in più occasioni; in particolare resta imprescindibile il riferimento alla grande mostra antologica dedicatagli dal Comune di Reggio Emilia nel 1986. Ma fu proprio allora che si vennero determinando alcuni giudizi complessivi sulla sua arte che in un certo senso 'pesano' tuttora e riaffiorano, nonostante alcuni commenti più lungimiranti, anche nelle successive letture. Bazzani viene infatti annoverato come pittore provinciale, completamente assorbito e risolto in una realtà locale in cui affonda le radici e da cui parrebbe trarre ogni ragione e significato. E ciò in virtù dei lunghissimi anni trascorsi nel paese natale, a Canicchia, nel reggiano, traendo ispirazione dalla sua gente, dalla vallata, dai borghi e dall'Appennino che sale all'orizzonte dietro le colline. I suoi quadri perciò vengono letti come il frutto di una consuetudine serena con le cose semplici, sincere di quella terra; egli è il "pittore contadino", famigliarmente colloquiale ma isolato, innamorato del suo piccolo mondo antico, erede dell'Ottocento romantico di Antonio Fontanesi e di un paesaggismo sentimentale, tramandatogli con buona maestria da Ottorino Davoli. Sempre lusinghieri i giudizi, volti a sottolineare la piacevolezza della pittura e quella semplicità che si fa espressione viva e condivisa, per cui ogni aspetto è immediatamente riconosciuto e avvertito armoniosamente dal suo pubblico. Tuttavia proprio questi accenti campanilistici, se da un lato hanno fatto di Bazzani una gloria locale, dall'altro hanno circoscritto, forse eccessivamente, la sua opera e la sua influenza.
Egli invece si merita il tentativo di una lettura meno oleografica e sentimentale e più tecnica, che lo inserisca tra le voci figurative mature del '900; se finora è stato considerato come ultimo erede di una tradizione locale, cantore di un angolo di terra tra la Padania e gli Appennini, è sempre possibile spostare i termini dell'analisi dal piano della pittura di genere a quello della qualità e dello stile. Chiediamoci quindi se la sua pittura sia soltanto un'elegia decadente, o se egli, come Fontanesi stesso, abbia avvertito fermenti nuovi, sperimentazioni, reazioni alle vicende culturali a lui contemporanee. E ancora, se quel tragitto dal particolare all'universale, che fa di un microcosmo il riflesso di valori più generali, il frammento su cui possono specchiarsi altre latitudini, sia stato percorso e varcato, per andare, seppur metaforicamente, al di là dell'orizzonte. 
Le opere scelte per questa mostra dalla Galleria Sant'Isaia fanno intuire come a Bazzani non siano estranee le questioni teoriche; il suo "non abbandono" dell'immagine è una risposta in piena coscienza a uno dei dilemmi del suo tempo, con cui egli si pone sul versante di una figurabilità vissuta come esercizio critico, come naturalismo di confine. A ben guardare infatti, è assai poco sentimentale la sua pittura, non si concede al facile effetto, cerca piuttosto l'equilibrio tra la struttura della realtà visibile e le regole necessarie alla composizione pittorica. Sicuro nella definizione dei piani e nel colorismo, nell'elidere i particolari descrittivi, nell'evitare i pittoricismi di maniera, egli tende a cogliere invece l'essenziale, con pennellate vigorose che sbalzano le forme, spesso con contrapposizione di piani, in luci ed ombre, essenziali. Una volta confermata la necessità di mantenere il dialogo con la visione naturale, Bazzani non si lascia sopraffare dal modello, nei paesaggi, così come nelle nature morte, nei ritratti e nelle figure. Ne sono un esempio quadri come l'intenso ritratto "Maria" del '71, e "A Canicchia" del '62. E' lui che domina, che scarta, sprezzando la fedeltà oggettiva, per giungere alla "sua" verità.

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