Daniela Bellotti      "Antologia di Scritti sull'Arte"                                                                                                     Le Mostre

CARLO CORSI

 

MAR Museo d'arte di Ravenna,

7 ottobre - 9 dicembre 2012

 

Testo pubblicato su Art Journal, sett. ott. 2012

 

"La lettura del Carlino", (sd 1918)

Carlo Corsi. Opere 1902 - 1966


MAR - Museo d'Arte della città di Ravenna


di Daniela Bellotti


LA MOSTRA
Carlo Corsi rappresenta un caso straordinario nella storia dell’arte italiana del novecento. Pittore dell’eterna giovinezza, il più “francese” degli italiani della sua generazione, ha legato i suoi successi ai quadri dedicati a giovani fanciulle circondate da giardini, in mezzo a primavere di smaglianti fioriture, autunni dorati. E’ la bellezza intatta, senza tempo, del primo Corsi, che fu subito riconosciuto come pittore di grande talento, che ci attende all’inizio del percorso nelle sale del Museo d’Arte della città di Ravenna dal prossimo 6 ottobre; una sfolgorante teoria di figure soprattutto femminili, un esordio in cui ritrovare i capolavori che incantarono i contemporanei di allora che tributarono al giovane pittore grandi onori, e che gli valsero la partecipazione alla Biennale di Venezia già nel ’12 e nel ’14. Sono giovani donne coi volti soffusi nell’ombra degli ombrellini, ampie vesti ariose dispiegate con una grazia quanto mai lontana, a catturare la luminosa leggiadria del giorno o ritratte in una pensosa sosta tra gli alberi o in interni borghesi dalle luci soffuse e ovattate. Una pittura che riempie gli occhi di luci e di colori, chiaroscuri e pennellate accese di accordi cromatici netti e vibranti, figure catturate nel bagliore della visione naturale, una elegia dipinta che ha il fascino di un’epoca e delle sue eleganze, quadri da ammirare con il rispetto e la considerazione che si deve ad un maestro come Carlo Corsi, nato a Nizza nel 1879, ma bolognese d’adozione (morto a Bologna nel 1966). Per questi quadri di grazia squisita della prima maniera, giustamente egli fu avvicinato ai post-impressionisti francesi, soprattutto a Bonnard. La condivisione del clima secessionista nelle esposizioni annuali di Roma, dal 1913 al 1916, dove ebbe l’occasione di vedere e farsi vedere con i più grandi artisti internazionali lo avvicinò ancor di più a quella dimensione europea che gli era già ben nota, grazie a un lungo viaggio fatto nel 1907 dopo gli studi all’Accademia di Torino, quando aveva visitato l’Olanda e la Francia. Dopo questi fortunati anni giovanili, tutto cambiò, ma quegli esordi rimasero col passare delle stagioni, in un certo senso, un pesante legame col passato, con un’epoca che venne superata e spazzata via dall’incalzare della storia, dai movimenti d’avanguardia, dallo spegnersi dello spirito frizzante e ottimistico della Belle Epoque, di fronte alla tragedia della Prima Guerra mondiale.
La mostra ha il compito di ricostruire quella che fu una vicenda artistica e umana complessa e tutt’altro che lineare, per far capire quali problematiche affrontò Corsi, per andare oltre se stesso, per superare le difficoltà di restare dentro il tempo a lui presente, e fedele a se stesso, fino alle ultime opere quasi astratte , quasi informali realizzate dal pittore ormai ultraottantenne. Si dovrà raccontare una storia tutt’altro che semplice, fatta di pause e accelerazioni, di elegie poetiche e di soluzioni spregiudicatamente sintetiche; la storia di un artista colto, un aristocratico che ha attraversato il suo tempo tracciando, a dispetto delle disattenzioni pubbliche di cui fu vittima, una traiettoria certa che si misura su un piano di confronto europeo, che sta a noi comprendere e far valutare finalmente nella giusta misura dalle generazioni attuali.

Verso la giusta ricollocazione storica di un maestro
Corsi ha avuto il destino dei solitari, pur non essendo un isolato: tutt’altro. Fu ribelle, a modo suo, ma soprattutto un individualista; concluse gli studi accademici con una certa intolleranza nei confronti degli insegnamenti di maestri di consolidata tradizione; fu curioso e insaziabile nella conoscenza dell’arte del passato e di quella contemporanea , da ragazzo fu un viaggiatore in anticipo sulle mode a venire, e fu un viaggiatore per tutta la vita; andava sempre in treno per visitare mostre e musei di mezza Europa, da cui riportava libri e cataloghi preziosissimi, gran lusso all’epoca; libri di cui era molto geloso, ma che metteva a disposizione nella sua casa anche per i colleghi pittori (questa sua passione per i libri d’arte è divenuta un bene anche per le generazioni future poiché alla sua morte la sua biblioteca è stata donata con lascito all’Accademia Clementina e all’Accademia di Belle Arti di Bologna). Fu uno sperimentatore di libertà espressive, pur non essendo un uomo da avanguardie.
A trent’anni la sua pittura mostra la nervosa sensibilità dell’uomo contemporaneo, è già dentro una ricerca dinamica e inquieta, in un tempo avanzato in termini europei, e avanzatissimo in ambito bolognese. Il suo destino fu quello di chi non sceglie le vie più facili, restando fuori dai movimenti organizzati, preferendo far razza a sé, piuttosto che aderire ad attività di gruppo e trovare nell’unità di intenti la forza di imporre una definizione, con posizioni che definiscono nettamente un ambito espressivo, spesso in aperto antagonismo con il contesto.
Oggi, a quasi cinquant’anni dalla sua morte, non sono ancora conclusi gli studi sulla sua opera, iniziati in modo sistematico solo molti anni dopo la sua morte. Le valutazioni in merito ad una sua ricollocazione critica nel panorama dell’arte europea del XX secolo non può prescindere da una completa ricognizione delle opere e alla monumentale redazione del catalogo generale dell’Editoriale Giorgio Mondadori Milano e delle Edizioni Cinquantasei, di cui nel 2010 è stato pubblicato il primo volume. Il risultato di questo impegno è che il valore delle opere, che il mercato collezionistico ha sempre ricercato, con massima attenzione ai capolavori del periodo giovanile sta rapidamente riconquistando terreno, potendosi oggi avvalere di strumenti scientifici che pongono le basi certe delle attribuzioni del corpus autografo. Certamente l’attenzione degli studiosi di oggi nei confronti di un maestro storico non ancora premiato dalla fama postuma che gli sarebbe dovuta, è un segnale importante, che fa ben sperare per una rivalutazione delle opere anche sul piano del collezionismo internazionale. Ben venga dunque la grande antologica del MAR che si preannuncia come l’occasione istituzionale giusta, e forse definitiva, per sancire la statura di protagonista di Carlo Corsi nel panorama artistico europeo.

Una carriera tra luci e ombre
Una lunga carriera, quella di Corsi, strettamente legata al suo tempo e agli eventi storici che l’attraversarono e che dettarono gli alti e bassi di tutta una vita. Il suo destino fu segnato da alterne vicende, precoci onori e brillanti successi negli anni della Belle Epoque, come abbiamo già ricordato, le giovanili partecipazioni alla Biennale di Venezia, cui seguirono periodi difficili, fino all’oblio totale; e di nuovo quando il suo nome era stato ormai dimenticato, in età già matura ecco tornare occasioni più propizie, il riconoscimento paradossale da parte dei suoi contemporanei come “giovane artista” con la vittoria del “Premio Bergamo” e il rinnovarsi della considerazione nei suoi confronti; ma ancora anni oscuri, e di nuovo una rinascita, col secondo dopoguerra, quando, già avanti con gli anni, sconcertò tutti con i “collage”. Accolti come la stranezza di un vecchio maestro che tutti ammiravano e salutavano rispettosamente come un continuatore del modo pittorico post-impressionista, i collage erano l’ennesima dimostrazione di una fantasia non doma, una nuova scommessa con cui l’anziano maestro reinventava un senso estetico con materiali diversi, utilizzando frammenti residuali, fogli, lettere, cartoline, stampe, carte pubblicitarie, appunti ritrovati tra i volumi della sua biblioteca, i relitti di una vita e del quotidiano, con cui prende forma un mondo di figure, di paesaggi, di composizioni, e con cui egli supera se stesso e la sua visione pittorica ormai figlia di un tempo lontano. I quadri dipinti nelle ultime stagioni, in cui egli depone la sua pittura di luce su fogli di giornale, tratteggiando paesaggi in bilico tra l’astratto e il figurativo, nel dinamismo di pennellate colorate, sono visioni estreme, in cui egli, tornato alla pittura, sperimenta ancora nuove soluzioni stilistiche, traendo a conseguenze finali la lunga strada percorsa, ma in cui la forza autorale resta ben leggibile: in essi tornano estenuati fantasmi ricondotti dalla memoria di una vita intera, travolti nei vortici di dinamiche cosmiche.
La difficoltà di leggere compiutamente la vicenda artistica di Corsi risiede nel dover superare di slancio il fascino delle opere della “prima maniera” e nel non restare soggetti al confronto-scontro che in Bologna fu inevitabile con la figura di Giorgio Morandi, nel sanare le limitatezze di giudizio per le quali restò in gran parte incompreso presso i suoi colleghi e contemporanei, nonostante avesse in alcuni critici trovato la giusta interpretazione, soprattutto in Francesco Arcangeli; il giudizio di oggi deve superare tutto questo, per ritrovare soprattutto la sua dimensione di artista sulla lunga distanza, instancabile sperimentatore di linguaggi (da quello post-impressionista a quello simbolista, da quello più intimista e naturalista a quello astratto e nuovo-realista) che portò nella cultura italiana e internazionale, un esempio di grande libertà e autonomia.