QUASI DOLCE
Concetto Pozzati si concede il lusso di un nuovo ciclo squisitamente
pittorico: grandi quadri in cui il gusto e l’occhio vengono sollecitati da
una visione rasserenata e coloratissima.
di Daniela Bellotti
Si preannuncia unica nel suo genere la mostra di Concetto Pozzati dal titolo
"Quasi dolce" alla Galleria Cinquantasei dal 29 settembre al 18 novembre
(prorogata fino al 16 dicembre).
L'artista, infatti, dipingerà due grandi tele "in diretta"; i visitatori
potranno così assistere al lavoro del maestro, che pochissime volte ha
accettato di dipingere pubblicamente. Pozzati ha svelato in questa
intervista il suo stato d'animo e spiegato in anteprima le ragioni del nuovo
ciclo.
Riportiamo alcuni brani della conversazione con
Concetto Pozzati.
Dopo alcuni cicli che definirei amari, in cui Lei ha affrontato argomenti
dolorosi, ricordiamo le struggenti opere di “Ciao Roberta”, le
“De-posizioni”, quelle riflessive di “Tempo sospeso”, ci prepariamo a
scoprire una mostra di inediti che si annunciano più decisamente “dolci”. E’
dunque cambiato lo stato d’animo dell’artista?
“La mostra è dedicata al nuovo ciclo “Quasi dolce” e poi ci saranno nelle
altre sale della galleria opere di vecchi periodi, a rappresentare
sinteticamente un percorso, che sarà oggetto di una conversazione che faremo
verso la fine della mostra, per ricordare i cinquant’anni di lavoro. E’ la
prima volta che espongo questo ciclo ed è la prima volta in generale che
espongo un ciclo inedito in una galleria privata; un ciclo al quale sto
ancora lavorando e che terminerò qui alla Cinquantasei, con la realizzazione
di due grandi tele. E’ un tema nuovo per suadenza e per desiderio pittorico,
mentre gli ultimi cicli sono stati grigi e angoscianti; una voglia nuova di
pittura e di colore, di molto colore, per vincere certi momenti bui.”
Si può dire che è un ritorno alle pere, ai peperoni degli anni Sessanta?
“E’ solo relativamente nuovo come immagine perché io ho sempre avuto un
amore per la natura morta, tutta la serie della Natura e della Ri-natura,
sono nature morte, non sono dolci, ovviamente, né così colorate. Rispetto
alle opere degli anni Sessanta, sotto certi aspetti è un ritorno, ma
completamente diverso, allora la pera, il peperone erano merce, l’immagine
era critica, fredda, gelida, addirittura erano in specchio. Invece questa è
una sfida di dipingere un dessert… che ti induca anche a pensare.”
Con quali significati? L’iconografia del dolce, della torta, con i colori
dei frutti canditi, acquisisce caratteristiche consolatorie anche come
rappresentazione pittorica?
“Mettere le mani nel cibo, come farò anche a Imola, per il “Baccanale”
(ndr rassegna enogastronomica e culturale che si terrà dal 3 al 18 novembre,
per la quale Pozzati disegnerà l’immagine simbolo della manifestazione) con
una mostra sulla natura morta, è come mettere le mani nel colore, la
mesticheria del cibo, di un dolce è la mesticheria di farsi tanti colori;
mettere gli occhi sul cibo è come adagiare gli occhi nella pittura, perché
vedere è sempre possedere e possedere è sempre vivere. Allora il cibo in un
momento difficile, angosciante, se non disperato come questo dovrebbe
servire a vivere, purtroppo non per tutti; mentre l’arte fa vivere meglio;
il cibo si ferma a servire alla vita, l’arte ci fa vivere meglio, questa è
la cosa più importante.”
Dunque un’opera d’arte che rappresenta del cibo svolge un doppio ruolo
consolatorio, diciamo un piacere potenziato…
“Si può dire così, il cibo come l’arte è nutrimento… E’ solo attraverso
il pensiero che si alimenta l’arte, anche se poi ci vuole il mestiere, se un
rischio c’è in questo ciclo è che c’è molto mestiere, in esso ritrovo il
piacere pittorico che non provavo da molti anni.”
Sul rapporto culturale tra il cibo e la rappresentazione del cibo, dai
banchetti antichi progettati dai maestri rinascimentali alla Eating art…
argomento ricco anche di memorie storiche, certamente di curiosità… quali le
vengono in mente?
“Certo, i maestri nei secoli passati, fin dall’antico Egitto… ma fermiamoci
al Cinquecento, a Firenze c’era una osteria che era chiamata “il pennello”,
si mangiavano cibi raffinatissimi, fatti da Carracci, Michelangelo,
Leonardo. Ma ci sono piatti ben noti legati al nome dei pittori, le
costolette di capriolo di Courbet, le triglie al cartoccio di Manet, le
crepes di fagiano di Monet, che erano straordinari anche come buongustai; la
cucina guardando le opere di questi maestri, ha elaborato ricette in loro
onore; come naturalmente i pittori hanno avuto bisogno del cibo per
dipingere la natura morta.”
Si potrà un giorno mangiare un gelato o una torta realizzata secondo il
disegno e del colore, così accattivante, dei suoi quadri?
“Molti anni fa la Regione Puglia invitò una decina di artisti a
progettare delle grandi torte che poi hanno realizzato, e realizzarono anche
la mia, di due, quattro metri… Il quadro non dovrebbe mai essere spettacolo,
mentre il dessert è obbligato a esserlo. In questo momento di grigiore,
tutta una mostra colorata può essere affascinante; con la Eat-art in questi
ultimi decenni è stato fatto molto cibo, pensi ad un artista del Nouveau
Realisme quale Spoerri; un esempio ancora di memoria, un vecchio ristorante
tedesco invitò artisti europei e americani a inventare un cibo con i propri
simboli artistici pittorici, Lichtenstein ad esempio uso la sua famosa
pennellata a fumetto e fece fare una mousse di cioccolata, che veniva
servita a fette; io, che all’epoca dipingevo le pere, feci fare una
gigantesca pera di formaggio; c’è un’ironia di fondo, e il senso di qualcosa
di docile arrendevolezza alla bontà che invece in pittura è una minaccia; ma
il pittore a volte sente il bisogno di riposarsi un po’…L’ultimo ciclo che è
ancora in piedi e poi verrà ai Chiostri di Imola, è un ciclo tristissimo, di
chiama “Cornice cieca”, e ho solo dipinto particolari di cornice; per un
pittore è drammatica; il ciclo precedente, esposto al MAR di Ravenna era “Il
tempo sospeso”.
So che in questo momento ci sono diverse sue mostre in spazi pubblici, a
segnare un momento di forte interesse per la sua opera, e una in particolare
che le sta molto a cuore per ragioni personali, vogliamo ricordarla…
“E’ la mostra che in questo momento ho a Vò, paese in cui sono nato,
nella villa in cui sono nato, (ndr. Mario & Concetto Pozzati - dal 9.9.2012
al 21.10.2012 / Villa Contarini Giovanelli Venier, Vo’Vecchio - PD) che era
di proprietà di mio padre, e che hanno appena restaurato, e io sono scappato
da lì a sette anni, perché vi fecero un campo di concentramento per gli
ebrei. La mostra è di mio padre e mia, questo è un incrocio affettuoso”.
La mostra alla galleria Cinquantasei riserverà al pubblico una sorpresa, la
possibilità di vedere la realizzazione di due grandi opere “in diretta”. E’
la prima volta che il pubblico ha la possibilità di assistere al lavoro di
Concetto Pozzati ?
“No, ci sono due precedenti, che ho fatto in pubblico; nel 1963 alla
galleria de’ Foscherari si fecero le Tre Progressioni, e ci chiudemmo per
tre giorni e tre notti in galleria lasciando però accese le luci anche di
sera, così sotto la galleria Cavour chi passava poteva vederci dipingere,
dalle vetrine, senza entrare; le tele erano grandi come le pareti, i tre
artisti erano Cuniberti, De Vita e Pozzati; fu anche quella una scommessa
perchè anche quelle erano tele molto grandi e dovevamo finirle in tre
giorni. Quel quadro, un’opera di quattro metri, del periodo delle
“Proiezioni ortogonali”, quando facevo una specie di Pop meno gioiosa, più
tenebrosa, fu acquistato da una galleria di Roma e poi fu donato al Mambo.
Poi nel 1972, se ricordo bene, ho dipinto il grande muro di Dozza, anche
quello fu un modo di far assistere il pubblico al mio lavoro.”
Si può dire che è la prima volta che Pozzati dipinge in diretta in una
personale e per più giorni con la presenza dei visitatori che può diventare
anche occasione di interazione. Riuscirà a troverà l’ispirazione e la
concentrazione? giustamente nei comunicati della galleria viene pregato il
pubblico di non disturbare il maestro…
"Cercherò di essere presente per portare avanti al lavoro più volte oltre
a quelle in calendario, perché ci vogliono tantissime ore di lavoro; le due
tele sono grandissime, un dittico di sei metri e l’altra tela di due metri,
all’inizio saranno solo preparate con il fondo, con questi lavori che
realizzerò alla Cinquantasei concluderò il ciclo “Quasi dolce”, che poi
esporrò nella sua completezza nella prossima mostra istituzionale. Ho
certamente l’idea di come farle, anche se pensare un disegno di sei metri
con i dolci non è una cosa facile, è una sfida, speriamo di farcela!"