Daniela Bellotti "Antologia di Scritti sull'Arte"                                                                                                                  Gli artisti
GUNTER BRUS

GAM Bologna, 2004-2005

testo pubblicato in:
ART JOURNAL
gen.- feb. 2005

 
Performance, Vienna 1965
Roter Schnee, 1981
Atem: Verletzung des inneren Luftraums, 1985 

I dolori del giovane Brus ovvero quando l'arte è scritta col sangue
 

Per chi predilige l’incontro con percorsi creativi estremi, la mostra che la Galleria d'Arte Moderna dedica a Gunter Brus “Viaggio intorno all’opera. Una retrospettiva dal 1960 al 1996” è un evento da non perdere. Preparatevi però a qualcosa al limite dello shock, perché il palcoscenico centrale della GAM questa volta è riservato a un artista che vi metterà a dura prova, e a molti il buon senso suggerirà che l'arte è un'altra cosa. E allora dobbiamo intenderci su cosa sia l’arte e perché Brus sia da decenni figura di riferimento tra i Body Artists di tutto il mondo, celebrato protagonista di un’epoca e di un modo, certamente eccessivo e per nulla accomodante, di essere artista. Personaggio scomodo e provocatorio che ha subito censure ed ostracismi, Brus è stato con Muhl, Schwarzkogler e Nitsch colui che diede vita ad alcune tra le più violente e autodistruttive performance dell’Azionismo Viennese.


Erano i primi anni Sessanta. L’iconoclastia esacerbata della pittura informale, con i suoi contenuti di esplosione e frantumazione dell’immagine ormai all’epilogo delle sue possibilità espressive, ebbe una metamorfosi finale: si liberò degli spazi chiusi e regolari di una tela e finì per coinvolgere il corpo stesso di colui che dava origine all’opera. Anche il giovane Brus s’immerse corpo e anima nello spazio pittorico, la pittura divenne azione e l’azione fu tutt’uno con la fisicità dell’uomo che ne metteva in moto il flusso energetico. Materiali dipinti e corpo dell’artista divennero metafora della unicità, teatro dell’identità, morte dell’opera in sé, sublimazione del gesto: intrisi di pennellate il volto il corpo il luogo sono fissati per sempre negli scatti in bianco e nero della fotografia. Con queste rappresentazioni il corpo veniva assunto come materia esso stesso dell’arte, il luogo privilegiato della trasformazione, la massa scultorea viva e pulsante su cui si sarebbe giocato il destino dell’arte nei decenni a venire. E poiché l’arte cerca sempre di superare i limiti raggiunti, il “gioco” sul corpo di fece duro, non vennero risparmiati la carne, il sangue, i fluidi corporei e l’intervento sulla propria pelle fu realizzato da Brus e da altri performers con rischio addirittura della propria incolumità, sfiorando e spesso varcando i territori di psicopatologie autolesioniste e sadomaso.
Per provare a comprendere le ragioni culturali di questi eccessi, bisogna ricordarsi dello Sturm und Drang e del Romanticismo che ci ha insegnato a pensare esteticamente alla totalità dell’esperienza del sentimento e alla congiuntura ideale di amore e morte; ed anche ripensare al gusto per la ribellione all’estetica borghese che investe tutte le avanguardie dell'inizio del secolo scorso, e non dimenticare la rivoluzione del pensiero che ha modificato per sempre la nostra percezione della realtà fisica e psichica dell’uomo e che porta la firma di Sigmund Freud, … tutto questo ci serve, e molto altro, per la verità, per avvicinarci a ciò che fece poi l’austriaco Gunter Brus. 


Azioni  rituali e sacrificali studiate con minuziosi ed espliciti bozzetti preparatori di una crudezza surreale, estetica del sangue e della costrizione, e sempre la macchina fotografica a immortalare l’artista durante la messa in scena, mentre si tortura, si punisce ed esegue il martirio della propria sessualità. La ricerca del dolore e del sacrificio di sé è testimoniata anche dalle documentazioni filmate, dove rivediamo Brus che fa subire al proprio corpo ferite, bendaggi, operazioni chirurgiche eseguite sempre di fronte a testimoni, a un pubblico necessario, chiamato ad essere parte insostituibile dell’evento. Poiché non si tratta di perversione, ma di rappresentazione del vero, il pubblico era ed è necessario, anche se le performance sono ormai di qualche decennio fa. Ed è un orrore che dovrebbe farci riflettere su quanta parte ha avuto la narrazione del dolore umano nella storia delle immagini con rappresentazioni di rituali di sangue e di morte, alcuni assunti anche a simboli fondamentali della fede cristiana. Ma comprenderne i significati e le implicazioni psicologiche non comporta necessariamente l’indifferenza: una sana repulsione può essere la reazione più naturale e anche culturalmente legittima, di fronte al volto scandaloso della violenza, sebbene assunta su di sé, liberamente e ostentatamente, ed è uno scatto di coscienza che può comportare la revisione di tanta parte delle nostre abitudini mentali. Gunter Brus è dunque un artista da guardare con grandissimo rispetto perché forse mai come nel suo percorso l’immersione nella totalità dell’essere e del sentire espressa in termini estetici è stata più vicina al sacrificio totale, simbolico, folle, sublime e gratuito. Le successive esperienze dell’artista ci confortano sul piano della sopravvivenza di una dimensione seppur anticonvenzionale di pittura e illustrazione. Le ossessioni sessuali e le predilezioni per gli argomenti sanguinari restano argomento privilegiato e non meno crudo nelle opere degli anni Ottanta e Novanta, dove si rivelano gli elementi stilistici  che sempre sono stati alla base del suo fare, desunti tra gli altri da Gustav Klimt,  Egon Schiele, Edvard Munch. 

 

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