Daniela Bellotti "Antologia di Scritti sull'Arte"                                                                                                 Gli artisti
LUIGI ONTANI

Villa delle Rose, Bologna, 1990

"Il Resto del Carlino",
16.11.1990

Luigi Ontani, sguardo affondato in un grande sogno

"Il Clown della rosa" è il titolo dell'esposizione allestita a Villa delle Rose e dedicata a Luigi Ontani, una delle personalità più originali e trasgressive del contemporaneo. Le opere in mostra si ispirano ad un concetto di arte come gioco e finzione, in esse si alternano le caratteristiche del narcisismo, dell'egocentrismo, dell'ambiguità, cui si intrecciano le eleganze di un erotismo esotico e di una magia dai toni evanescenti. Il percorso di Luigi Ontani è riccamente documentato dalla mostra bolognese, a fianco e dentro i movimenti a cui l'artista si è rapportato fin dai suoi esordi nel Settanta: dall'arte povera alla performance, dal ritorno alla pittura alla transavanguardia, fino al citazionismo. Come in un unico, coloratissimo sogno o in una imprevedibile piéce teatrale, l'artista riveste tutti i ruoli, alla ricerca di un'identità profonda, ogni volta fittizia e precaria, ma piena di suggestione, simile ad un infinito carnevale. La prima celebre realizzazione di Ontani fu quella degli "Oggetti pleonastici", piccole sculture ludiche, volte ad un recupero delle forme infantili. Con esse iniziava una pratica che sarebbe rimasta costante nella sua produzione, l'uso di materiali poveri (il gesso, il cartone ondulato, la gommapiuma, la cartapesta), che ha consentito la creazione di forme prensili e colorate, allettevoli al tatto come giocattoli, nelle quali la povertà intrinseca della materia viene riscattata dalla trasfigurazione libera dei soggetti, dall'opulenza dei colori e degli ornamenti. Già nella serie degli "Oggetti pleonastici", raccolti in mostra in un'ambientazione dal titolo "Stanza delle similitudini", si può individuare la chiave di tutto il sistema artistico ontaniano: la categoria stessa del pleonastico, del superfluo è assunta da Ontani come la sola in cui l'arte può nascere e divenire fonte di un piacere insieme fisico e culturale.
Attraverso le opere di Luigi Ontani si possono leggere i vari capitoli della storia di quest'ultimo ventennio di ricerche artistiche. Tuttavia Ontani resta fuori dagli schemi, troppo individualista per riconoscersi appieno in una codificazione chiusa e collettiva. Così, quando negli anni Settanta egli realizzava le sue memorabili performance, il rigore concettuale delle rappresentazioni si stemperava sempre nella ricchezza dell'armamentario scenico, evocativo di episodi mitici e fantastici. Varie fotografie esposte sono la testimonianza di questa prolifica attività, insieme a numerosi tableaux vivant, simulacri fotografici in cui Ontani, personaggio dopo personaggio, diviene cavaliere, martire, divinità orientale, replicando anche celeberrime opere del passato (come San Sebastiano di Guido Reni, e il giovane con frutti di Caravaggio...).
Negli anni Ottanta con il ritorno alla pittura e le grandi figure tridimensionali in cartapesta, Ontani apre un nuovo capitolo: egli inventa uno spazio galleggiante, senza peso, dove figurine agili, dai profili che discendono da lontani archetipi vascolari e strani idoli dalle forme ibride e metamorfizzate, vivono una loro assoluta libertà, fatta di mimica e di allegra frenesia sessuale; sono presenze in cui si riflette ancora una volta l'artista stesso con i suoi modi stravaganti, il suo essere costantemente in gioco. Anni fa egli scriveva: "...Ricostruire l'Unità originale, la follia controllata, il sorriso, il pianto, tutte le manifestazioni dei sensi, i segni dell'umore, creeranno una danza continua di felicità od altro...".
A questa danza, a questo baccanale post-moderno si assiste a Villa delle Rose, sulle tracce di una esornativa congerie di opere, dove albergano l'inutilità fastosa, il gesto gratuito, la costruzione illogica, la favola amorosa, l'ornamento superfluo, l'atteggiamento provocatorio. E in questo regno delle apparenze, Luigi Ontani celebra in primo luogo se stesso, il proprio volto dalle innumerevoli maschere e dallo sguardo affondato dentro un sogno di artificiosa bellezza, e infine si rinnova la funzione dell'arte, come specchio di una soggettività, instancabile genitrice.