Daniela Bellotti "Antologia di Scritti sull'Arte"                                                                                                                      Eventi

Mattia Moreni

 

“Preludio - Primo decennio 1941-1953”, Museo Civico delle Cappuccine, Bagnacavallo (RA) dal 6 Aprile  al 7 Giugno 2008


“Il Percorso interrotto - Ultimo decennio 1985-1998”, Kunsthaus di Amburgo dal 21 Aprile al 25 Maggio 2008.

Magazzini del Sale, Cervia (RA) dal 27 Giugno al 7 Settembre 2008.

 

Testi pubblicati su Art Journal, numeri diversi anno 2008

 

Manifesto mostra: Mattia Moreni

Preludio

Manifesto mostra: Mattia Moreni

Il percorso interrotto

Anteprima evento.

Bagnacavallo, Amburgo, Cervia. Il triangolo di Mattia Moreni

Tre mostre, un itinerario tra i luoghi che furono cari all’artista tra la Romagna e la Germania. Un inedito approfondimento critico sugli estremi cronologici del più espressionista degli artisti italiani, gli esordi giovanili e gli ultimi anni.

La storia dell’arte del Novecento passa attraverso le non-angurie, gli antropo-computer, le enormi teste “regressite” che Mattia Moreni ha tracciato nel suo libertario excursus nei territori selvaggi della pittura. Sono opere così aderenti al loro geniale autore da essere quasi sempre in qualche modo degli autoritratti, emanazioni di una personalità irriverente, acutissima nel sentire i tempi, non quelli del suo presente, ma quelli del nostro futuro. Le “antenne” di un artista geniale come Moreni non potevano accontentarsi di captare i segnali del suo tempo, né adagiarsi in un’integrazione politicamente corretta con la contemporaneità, né tanto meno aderire ad uno standard una volta accreditate le formule e ottenuto il favore della critica. Si comprende oggi che la miccia innescata in ogni suo quadro altro non sia che una sfida alla nostra intelligenza accesa da un intelligentissimo e divertito “guastatore”. E cos’altro sarà l’arte in un’epoca di appiattimento, se non gesto di rottura, salto genetico folle che spezzi l’aridità delle griglie concettuali cui si aggrappa chi non ha nulla da dire, ghigno di feroce critica, risata dissacrante in faccia ai bizantinismi?

Una triplice rassegna promossa dalla Maggiore Eventi d’Arte vedrà nei prossimi mesi Mattia Moreni protagonista di tre diverse mostre tra la Romagna e la Germania, con la cura di un pool di storici e critici dell’arte internazionali. A Bagnacavallo saranno esposte opere insolite e meno note realizzate da un Moreni ventenne all’inizio degli anni Quaranta, fino al ’53. Sono esordi inevitabilmente toccati da tratti post-picassiani, in cui si può misurare l’apparentamento del giovane artista a correnti e percorsi altrui, ma anche identificare in germe quel segno, quel dna pittorico che, persistente e mutante, diede vita nei decenni successivi a creature post-naturalistiche e apocalittiche visioni, infine compiutamente espresso nell’ultima generazione degli umanoidi tecnologici con le opere degli anni Novanta. Questi quadri dell’ultimo decennio, fino al 1998, un anno prima della morte dell’artista, saranno materia di approfondimento degli altri due momenti espositivi, in aprile e maggio alla Kunsthaus di Amburgo, poi a Cervia ai Magazzini del Sale da giugno a settembre 2008.

Sciogliere i nodi della ricerca di un artista spiegando tutto dentro una parabola di coerenza, con l’idea di uno sviluppo necessario, che in Moreni fu anche ossessivo, all’interno di tematiche ricorrenti, è certamente una missione dovuta all’importanza che Moreni ha all’interno delle vicende della seconda metà del Novecento. E’ certo che il maestro avrebbe sorriso soddisfatto che l’enorme energia profusa nel gran corpus della sua opera sia stata tanto forte da suscitare ancora molteplici interrogativi, e che gli eccessi di quella che fu la sua esuberanza comunicativa risulti col tempo tanto ardua quanto il più rigoroso dei silenzi. Egli continuerebbe oggi ad osservare come la nostra attualità inesorabilmente sempre più “regressita” si scontra con lo scoglio della sua eredità, mentre la miccia accesa dei suoi quadri continua a minacciare le nostre griglie fenomenologiche sull’orlo di uno sconquasso.

Compresi anni fa, durante un incontro con Mattia Moreni, quale sia il modo migliore per accostarsi ai suoi lavori, provando a guardare i suoi quadri come li guardava lui, con intelligente e divertita follia. Ricordo ancora il suo sguardo acuto e indagatore su di me, giovane giornalista che lo intervistavo con il rispetto che si deve ad un maestro, e il suo incalzarmi affinché mi sentissi libera di esprimere senza remore il mio pensiero. Mi disse, “quando vuoi capire un quadro, pensa di pungerlo, e a cosa ne verrebbe fuori, ci sono opere fredde e morte che se le pungi non ne esce nulla, e opere vive, che se le pungi ne esce sangue e carne, trovi l’uomo, trovi la donna, la vita”. Ho ripensato ora, mentre scrivo nuovamente di lui, a quel suo insegnamento, che non trascrissi nell’intervista perché lo considerai un regalo personale. Di fronte all’estrema parabola moreniana di un’umanità perduta tra cavi elettrici e protesi meccaniche, immagino di pungere l’orrendo mostro disumano, il nostro apocalittico futuro. Ne esce un grido d’animale morente, poi un bip elettronico, uno sparo, un fragore, un fumo acre, mi ritrovo in mano una miccia che si consuma… Una voce e una domanda rimasta sospesa, perché?

MORENI. GLI ANNI GIOVANILI “La forza dei quadri”

Nella suggestiva cornice del Museo Civico delle Cappuccine, a Bagnacavallo, un’insolita mostra dedicata a Moreni. Esposte opere in gran parte sconosciute degli anni giovanili, dal 1941 al 1953.

E’ una vera scoperta questo Moreni degli anni giovanili raccontato con la mostra “Preludio, il primo decennio”, sulla scorta di una lettura critica di Claudio Spadoni e con la cura di Roberta e Franco Calarota. Nato a Pavia nel 1920 e morto a Ravenna nel 1999, Mattia Moreni è uno degli artisti italiani più internazionali del XX secolo, certamente il più espressionista, esempio di forza individualistica e trasgressiva. E’ la prima volta che viene ricostruito l’iter della produzione giovanile del maestro, a partire dagli anni ancora precedenti al suo esordio pubblico, con una ricognizione che si ferma alla soglie della sua vera e propria notorietà. Soprattutto i quadri e i disegni con le datazioni più precoci, eseguiti durante gli anni della guerra, erano fin qui conosciuti solo agli esegeti dell’artista. Il taglio della mostra è dunque filologico e si squaderna agli occhi del visitatore con chiarezza e una scansione cronologica rigorosa, sala dopo sala, insieme ad alcuni documenti, lettere e fotografie dell’artista. Nell’insieme le opere hanno una qualità alta rivelativa di una serie di passaggi a volte curiosi e inaspettati. Soprattutto si scorgono precocemente i tratti di un segno e di un temperamento che, qualche anno più tardi, diventeranno determinanti per uno stile personale e unico. Chi non ricorda i famosi quadri con le grandi angurie grigie, misteriose presenze in uno spazio dilaniato, percorso da elettrici cataclismi fino all’orizzonte? Scopriamo che nel 1945 Moreni dipinse un quadro stranissimo, “Il gallo e le angurie”. Sono le sue prime angurie, ancora piuttosto naturalistiche eppure già toccate da un’inquietudine visionaria, incuneate in una materia biliosa e acida; a questi frutti spaccati il giovane artista ha affidato il compito di raccontare un rosso sanguigno e viscerale, come la cresta e i bargigli del gallo che si contorce già mezzo spiumato. Qui forse per la prima volta si fa strada la predilezione del pittore per l’insolito, con il protagonismo degli elementi della visione che è già tutto in nuce e che sarà la sua cifra stilistica costante. Altra primizia, in questo quadro compare la scritta con il titolo, cosa che entrerà poi negli stilemi dell’artista, con l’abitudine di tracciare parole e intere frasi, completamente integrate all’esecuzione pittorica.

Moreni fu un irriducibile provocatore e a questa sua caratteristica deve gran parte del successo della sua produzione, sempre carica, aggressiva, eccessiva. Sorprendente quindi ciò che accade di lì a pochissimi mesi. Finisce le guerra e Moreni scopre il segno secco e astraente di Picasso. Destino comune in quel giro di anni, ma per lui è solo un passaggio obbligato, che gli consente di respirare una dimensione europea e precocemente anti-provinciale, partecipando ad un dibattito estetico, culturale e politico che segna quegli anni e determina i valori di una intera generazione di artisti, come lui ugualmente impegnati e in breve giro di tempo accreditati sul piano nazionale e anche internazionale. Nelle opere del ’47-’48 il contraccolpo picassiano è fenomenale. Come tale appare, trasforma e scompare. Lasciando dietro di sé una serie di opere quasi completamente astratte bellissime, che esauriscono in fretta tutta la scorta di rigore e asciuttezza che Moreni poteva avere in animo, e lo convincono a rimeditare su ciò che aveva lasciato. E’ un Moreni tiepidamente astratto, vibrante, che poteva essere e non è stato. Non sarà questa infatti la sua strada, ma quadri come “Figura di donna”, “Oggetto e figura” e “Costruzione” del ’48 determinano una stagione che ebbe peraltro un assoluto rilievo da un punto di vista della notorietà, poiché rivelarono l’artista al pubblico con la partecipazione alla prima Biennale veneziana del dopoguerra, quella del ‘48, e alla V quadriennale di Roma dello stesso anno.

La mostra di Bagnacavallo si chiude con alcuni quadri del ’52-’53 in cui si individuano tratti che preludono, questa volta davvero, alle più personali stagioni dell’artista. Si riaffacciano colori che da soli riportano un senso di fisicità e di natura, i verdi e i gialli, i rossi, le linee non temono più di affrontare la scansione di un paesaggio, un sole, una staccionata, un prato, un confine, ma il rigore si è sciolto e lascia il posto a pennellate arruffate, sorgive, a quello Sturm und Drang del gesto che dovrà più tardi esplodere in tutta la sua veemenza. Il dominio dello spazio pittorico è ormai assoluto. Ad un mondo di pure linee e ritmi, Moreni può adesso intrecciare le visioni interiori di un mondo fisico e umano, vissuto e gridato, travasando senza risparmio se stesso nella sua storia d’artista.

Come parte integrante dello stesso progetto, l’ultimo decennio dell’artista è al centro di un’altra mostra dal titolo “Il percorso interrotto – 1985-1998” aperta alla Kunsthaus di Amburgo.

L'ULTIMO MORENI. “Il percorso interrotto”

L’interruzione cui fa riferimento il titolo della mostra è di quelle cui ci si deve arrendere. La morte di un artista, di tutti i grandi, è sempre un venir meno di un discorso che non può trovare altro compimento che nel testimone lasciato nelle mani dei posteri. E i posteri di Mattia Moreni, coloro che si sono fatti carico della sua memoria e del suo riconoscimento storico non hanno lesinato energie per ricordare il maestro con iniziative e studi, in questi quasi dieci anni che sono passati dalla sua morte. La mostra “Il percorso interrotto – Ultimo decennio 1985-1998”, a cura di Franco e Roberta Calarota, racconta l’ultima stagione creativa di Moreni, un artista che fece dell’energia vitale uno dei principali motori della sua ricerca. Un’energia vitale che oggi ritroviamo nell’impatto con le sue opere più critiche e disperate, in cui si manifesta una contaminazione senza scampo, frutto di un inquinamento culturale e di un’evoluzione in cui l’homo sapiens ha ormai abdicato ad una nuova specie, l’homo tecnologicus, potente e dissennato, come le sue macchine forse utili, forse dannose. Mattia Moreni, nei suoi ultimi deraglianti quadri, è un artista saggio e infuriato insieme, che allo scadere del XX secolo volge lo sguardo attorno a sé e trova solo mostri disumani con le teste vuote dove la logica sembra cancellata per sempre, mutanti con facce-monitor dove neuroni ed elettronica tentano un’impossibile estrema metamorfosi. E se “il senso della vita è il provvisorio” come si legge in una delle sue opere, non possiamo che tentare come estremo omaggio alla comprensione della sua arte, di riconnetterci al nostro cervello, affinché questi identikit ci assomiglino il meno possibile e nella provvisorietà di questo andare verso l’interruzione estrema, si produca qualcosa che abbia ancora la tenerezza innocente dell’umano. Quest’incubo intuito ed espresso in tutto il suo trasformismo pittorico ci obbliga a iscrivere Mattia Moreni non solo nel novero dei grandi artisti del Novecento, probabilmente uno dei rari di statura mondiale espressi dall’arte italiana, ma soprattutto dei pochi grandi visionari che nei secoli hanno avuto il coraggio e la libertà di uno sguardo diabolicamente analitico, e conficcatolo nella carne dell’umanità, ce l’hanno mostrata con la potenza dell’arte in tutta la sua scellerata follia. Penso Grunewald, Goya, Ensor, Picasso.
Tuttavia Moreni, dall’interno di questa dimensione tragica, seppe anche trovare il registro dell’ironia, così che mai la sua pittura assume il tono minaccioso di un’apocalisse, piuttosto ci coinvolge in una liberatoria risata, offrendoci una carnevalesca sequenza di maschere sotto le quali la realtà invece che camuffarsi, si palesa, come nella commedia dell’arte e, tra un frizzo e un lazzo, sbatte in faccia ai puristi e ai fini dicitori, la sua arrabbiata parodia.
 

Le tre mostre sono il risultato di una inedita collaborazione tra istituzioni culturali, curatori e storici dell'arte: l'Archivio Mattia Moreni e la Maggiore Eventi d'Arte di Bologna di Franco e Roberta Calarota, il direttore della Kunsthaus di Amburgo Claus Mewes, Giuseppe Masetti direttore del Museo Civico delle Cappuccine e Claudio Spadoni storico dell'arte e direttore del MAR di Ravenna.