La storia dell’arte del Novecento passa
attraverso le non-angurie, gli antropo-computer, le enormi teste
“regressite” che Mattia Moreni ha tracciato nel suo libertario excursus
nei territori selvaggi della pittura. Sono opere così aderenti al loro
geniale autore da essere quasi sempre in qualche modo degli
autoritratti, emanazioni di una personalità irriverente, acutissima nel
sentire i tempi, non quelli del suo presente, ma quelli del nostro
futuro. Le “antenne” di un artista geniale come Moreni non potevano
accontentarsi di captare i segnali del suo tempo, né adagiarsi in
un’integrazione politicamente corretta con la contemporaneità, né tanto
meno aderire ad uno standard una volta accreditate le formule e ottenuto
il favore della critica. Si comprende oggi che la miccia innescata in
ogni suo quadro altro non sia che una sfida alla nostra intelligenza
accesa da un intelligentissimo e divertito “guastatore”. E cos’altro
sarà l’arte in un’epoca di appiattimento, se non gesto di rottura, salto
genetico folle che spezzi l’aridità delle griglie concettuali cui si
aggrappa chi non ha nulla da dire, ghigno di feroce critica, risata
dissacrante in faccia ai bizantinismi?
Una triplice rassegna promossa dalla
Maggiore Eventi d’Arte vedrà nei prossimi mesi Mattia Moreni
protagonista di tre diverse mostre tra la Romagna e la Germania, con la
cura di un pool di storici e critici dell’arte internazionali. A
Bagnacavallo saranno esposte opere insolite e meno note realizzate da un
Moreni ventenne all’inizio degli anni Quaranta, fino al ’53. Sono esordi
inevitabilmente toccati da tratti post-picassiani, in cui si può
misurare l’apparentamento del giovane artista a correnti e percorsi
altrui, ma anche identificare in germe quel segno, quel dna pittorico
che, persistente e mutante, diede vita nei decenni successivi a creature
post-naturalistiche e apocalittiche visioni, infine compiutamente
espresso nell’ultima generazione degli umanoidi tecnologici con le opere
degli anni Novanta. Questi quadri dell’ultimo decennio, fino al 1998, un
anno prima della morte dell’artista, saranno materia di approfondimento
degli altri due momenti espositivi, in aprile e maggio alla Kunsthaus di
Amburgo, poi a Cervia ai Magazzini del Sale da giugno a settembre 2008.
Sciogliere i nodi della ricerca di un
artista spiegando tutto dentro una parabola di coerenza, con l’idea di
uno sviluppo necessario, che in Moreni fu anche ossessivo, all’interno
di tematiche ricorrenti, è certamente una missione dovuta all’importanza
che Moreni ha all’interno delle vicende della seconda metà del
Novecento. E’ certo che il maestro avrebbe sorriso soddisfatto che
l’enorme energia profusa nel gran corpus della sua opera sia stata tanto
forte da suscitare ancora molteplici interrogativi, e che gli eccessi di
quella che fu la sua esuberanza comunicativa risulti col tempo tanto
ardua quanto il più rigoroso dei silenzi. Egli continuerebbe oggi ad
osservare come la nostra attualità inesorabilmente sempre più
“regressita” si scontra con lo scoglio della sua eredità, mentre la
miccia accesa dei suoi quadri continua a minacciare le nostre griglie
fenomenologiche sull’orlo di uno sconquasso.
Compresi anni fa, durante un incontro con
Mattia Moreni, quale sia il modo migliore per accostarsi ai suoi lavori,
provando a guardare i suoi quadri come li guardava lui, con intelligente
e divertita follia. Ricordo ancora il suo sguardo acuto e indagatore su
di me, giovane giornalista che lo intervistavo con il rispetto che si
deve ad un maestro, e il suo incalzarmi affinché mi sentissi libera di
esprimere senza remore il mio pensiero. Mi disse, “quando vuoi capire un
quadro, pensa di pungerlo, e a cosa ne verrebbe fuori, ci sono opere
fredde e morte che se le pungi non ne esce nulla, e opere vive, che se
le pungi ne esce sangue e carne, trovi l’uomo, trovi la donna, la vita”.
Ho ripensato ora, mentre scrivo nuovamente di lui, a quel suo
insegnamento, che non trascrissi nell’intervista perché lo considerai un
regalo personale. Di fronte all’estrema parabola moreniana di un’umanità
perduta tra cavi elettrici e protesi meccaniche, immagino di pungere
l’orrendo mostro disumano, il nostro apocalittico futuro. Ne esce un
grido d’animale morente, poi un bip elettronico, uno sparo, un fragore,
un fumo acre, mi ritrovo in mano una miccia che si consuma… Una voce e
una domanda rimasta sospesa, perché?
MORENI. GLI ANNI GIOVANILI “La forza dei
quadri”
Nella suggestiva cornice del Museo Civico
delle Cappuccine, a Bagnacavallo, un’insolita mostra dedicata a Moreni.
Esposte opere in gran parte sconosciute degli anni giovanili, dal 1941
al 1953.
E’ una vera scoperta questo Moreni degli
anni giovanili raccontato con la mostra “Preludio, il primo decennio”,
sulla scorta di una lettura critica di Claudio Spadoni e con la cura di
Roberta e Franco Calarota. Nato a Pavia nel 1920 e morto a Ravenna nel
1999, Mattia Moreni è uno degli artisti italiani più internazionali del
XX secolo, certamente il più espressionista, esempio di forza
individualistica e trasgressiva. E’ la prima volta che viene ricostruito
l’iter della produzione giovanile del maestro, a partire dagli anni
ancora precedenti al suo esordio pubblico, con una ricognizione che si
ferma alla soglie della sua vera e propria notorietà. Soprattutto i
quadri e i disegni con le datazioni più precoci, eseguiti durante gli
anni della guerra, erano fin qui conosciuti solo agli esegeti
dell’artista. Il taglio della mostra è dunque filologico e si squaderna
agli occhi del visitatore con chiarezza e una scansione cronologica
rigorosa, sala dopo sala, insieme ad alcuni documenti, lettere e
fotografie dell’artista. Nell’insieme le opere hanno una qualità alta
rivelativa di una serie di passaggi a volte curiosi e inaspettati.
Soprattutto si scorgono precocemente i tratti di un segno e di un
temperamento che, qualche anno più tardi, diventeranno determinanti per
uno stile personale e unico. Chi non ricorda i famosi quadri con le
grandi angurie grigie, misteriose presenze in uno spazio dilaniato,
percorso da elettrici cataclismi fino all’orizzonte? Scopriamo che nel
1945 Moreni dipinse un quadro stranissimo, “Il gallo e le angurie”. Sono
le sue prime angurie, ancora piuttosto naturalistiche eppure già toccate
da un’inquietudine visionaria, incuneate in una materia biliosa e acida;
a questi frutti spaccati il giovane artista ha affidato il compito di
raccontare un rosso sanguigno e viscerale, come la cresta e i bargigli
del gallo che si contorce già mezzo spiumato. Qui forse per la prima
volta si fa strada la predilezione del pittore per l’insolito, con il
protagonismo degli elementi della visione che è già tutto in nuce e che
sarà la sua cifra stilistica costante. Altra primizia, in questo quadro
compare la scritta con il titolo, cosa che entrerà poi negli stilemi
dell’artista, con l’abitudine di tracciare parole e intere frasi,
completamente integrate all’esecuzione pittorica.
Moreni fu un irriducibile provocatore e a
questa sua caratteristica deve gran parte del successo della sua
produzione, sempre carica, aggressiva, eccessiva. Sorprendente quindi
ciò che accade di lì a pochissimi mesi. Finisce le guerra e Moreni
scopre il segno secco e astraente di Picasso. Destino comune in quel
giro di anni, ma per lui è solo un passaggio obbligato, che gli consente
di respirare una dimensione europea e precocemente anti-provinciale,
partecipando ad un dibattito estetico, culturale e politico che segna
quegli anni e determina i valori di una intera generazione di artisti,
come lui ugualmente impegnati e in breve giro di tempo accreditati sul
piano nazionale e anche internazionale. Nelle opere del ’47-’48 il
contraccolpo picassiano è fenomenale. Come tale appare, trasforma e
scompare. Lasciando dietro di sé una serie di opere quasi completamente
astratte bellissime, che esauriscono in fretta tutta la scorta di rigore
e asciuttezza che Moreni poteva avere in animo, e lo convincono a
rimeditare su ciò che aveva lasciato. E’ un Moreni tiepidamente
astratto, vibrante, che poteva essere e non è stato. Non sarà questa
infatti la sua strada, ma quadri come “Figura di donna”, “Oggetto e
figura” e “Costruzione” del ’48 determinano una stagione che ebbe
peraltro un assoluto rilievo da un punto di vista della notorietà,
poiché rivelarono l’artista al pubblico con la partecipazione alla prima
Biennale veneziana del dopoguerra, quella del ‘48, e alla V quadriennale
di Roma dello stesso anno.
La mostra di Bagnacavallo si chiude con
alcuni quadri del ’52-’53 in cui si individuano tratti che preludono,
questa volta davvero, alle più personali stagioni dell’artista. Si
riaffacciano colori che da soli riportano un senso di fisicità e di
natura, i verdi e i gialli, i rossi, le linee non temono più di
affrontare la scansione di un paesaggio, un sole, una staccionata, un
prato, un confine, ma il rigore si è sciolto e lascia il posto a
pennellate arruffate, sorgive, a quello Sturm und Drang del gesto che
dovrà più tardi esplodere in tutta la sua veemenza. Il dominio dello
spazio pittorico è ormai assoluto. Ad un mondo di pure linee e ritmi,
Moreni può adesso intrecciare le visioni interiori di un mondo fisico e
umano, vissuto e gridato, travasando senza risparmio se stesso nella sua
storia d’artista.
Come parte integrante dello stesso progetto,
l’ultimo decennio dell’artista è al centro di un’altra mostra dal titolo
“Il percorso interrotto – 1985-1998” aperta alla Kunsthaus di Amburgo.
L'ULTIMO MORENI. “Il percorso interrotto”
L’interruzione cui fa riferimento il titolo della mostra è di quelle cui
ci si deve arrendere. La morte di un artista, di tutti i grandi, è
sempre un venir meno di un discorso che non può trovare altro compimento
che nel testimone lasciato nelle mani dei posteri. E i posteri di Mattia
Moreni, coloro che si sono fatti carico della sua memoria e del suo
riconoscimento storico non hanno lesinato energie per ricordare il
maestro con iniziative e studi, in questi quasi dieci anni che sono
passati dalla sua morte. La mostra “Il percorso interrotto – Ultimo
decennio 1985-1998”, a cura di Franco e Roberta Calarota, racconta
l’ultima stagione creativa di Moreni, un artista che fece dell’energia
vitale uno dei principali motori della sua ricerca. Un’energia vitale
che oggi ritroviamo nell’impatto con le sue opere più critiche e
disperate, in cui si manifesta una contaminazione senza scampo, frutto
di un inquinamento culturale e di un’evoluzione in cui l’homo sapiens ha
ormai abdicato ad una nuova specie, l’homo tecnologicus, potente e
dissennato, come le sue macchine forse utili, forse dannose. Mattia
Moreni, nei suoi ultimi deraglianti quadri, è un artista saggio e
infuriato insieme, che allo scadere del XX secolo volge lo sguardo
attorno a sé e trova solo mostri disumani con le teste vuote dove la
logica sembra cancellata per sempre, mutanti con facce-monitor dove
neuroni ed elettronica tentano un’impossibile estrema metamorfosi. E se
“il senso della vita è il provvisorio” come si legge in una delle sue
opere, non possiamo che tentare come estremo omaggio alla comprensione
della sua arte, di riconnetterci al nostro cervello, affinché questi
identikit ci assomiglino il meno possibile e nella provvisorietà di
questo andare verso l’interruzione estrema, si produca qualcosa che
abbia ancora la tenerezza innocente dell’umano. Quest’incubo intuito ed
espresso in tutto il suo trasformismo pittorico ci obbliga a iscrivere
Mattia Moreni non solo nel novero dei grandi artisti del Novecento,
probabilmente uno dei rari di statura mondiale espressi dall’arte
italiana, ma soprattutto dei pochi grandi visionari che nei secoli hanno
avuto il coraggio e la libertà di uno sguardo diabolicamente analitico,
e conficcatolo nella carne dell’umanità, ce l’hanno mostrata con la
potenza dell’arte in tutta la sua scellerata follia. Penso Grunewald,
Goya, Ensor, Picasso.
Tuttavia Moreni, dall’interno di questa dimensione tragica, seppe anche
trovare il registro dell’ironia, così che mai la sua pittura assume il
tono minaccioso di un’apocalisse, piuttosto ci coinvolge in una
liberatoria risata, offrendoci una carnevalesca sequenza di maschere
sotto le quali la realtà invece che camuffarsi, si palesa, come nella
commedia dell’arte e, tra un frizzo e un lazzo, sbatte in faccia ai
puristi e ai fini dicitori, la sua arrabbiata parodia.
Le tre mostre sono il risultato di una
inedita collaborazione tra istituzioni culturali, curatori e storici
dell'arte: l'Archivio Mattia Moreni e la Maggiore Eventi d'Arte di
Bologna di Franco e Roberta Calarota, il direttore della Kunsthaus di
Amburgo Claus Mewes, Giuseppe Masetti direttore del Museo Civico delle
Cappuccine e Claudio Spadoni storico dell'arte e direttore del MAR di
Ravenna.