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QUINTO GHERMANDI
"Il Resto del Carlino"
20.1.1994
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Diede
le ali alla materia
La morte dello scultore Quinto
Ghermandi lascia interrotto un percorso creativo che è stato fino
in fondo ricco di energie. Sul tavolo dei progetti restano opere non compiute,
ancora grandi forme, come le sue celebri "Fontane", pensate per far librare
il colpi d'aria la materia, strutture modernissime nello stile dove elementi
naturali giungono ad una stupefacente perfezione astratta e insieme rinnovano
un senso focale, scenografico che le rende imprevedibilmente antiche. Una
tra tutte, la grande fontana del Policlinico Sant'Orsola.
La vita degli artisti, si
sa, intesse dialoghi di grande profondità; per Quinto Ghermandi
non furono solo i "dialoghi" silenziosi, quelli affidati alle opere, feconde
per le non rare occasioni di collocazione pubblica, ma fu anche fertile
magistero svolto per lunghi anni alla cattedra di scultura dell'Accademia
di belle arti di Bologna.
Era nato a Crevalcore, il
28 settembre 1916; l'Accademia accompagnò gran parte delle sue vicende,
dapprima come studente, poi come insegnante. A interrompere gli anni della
formazione e le prime scelte artistiche d'ambito naturalistico, la guerra,
che Ghermandi combatté come paracadutista e lo vide per quattro
anni in un campo di concentramento in Egitto.
Dopo, la sua arte fu diversa:
fu grande espressione potente che dalla tragedia trasse drammaticità,
ma che seppe anche risvegliare vitalistici guizzi d'ironia, riscoprire
aspetti ancora sorprendenti nelle cose, e in ciò fu uno dei maggiori
interpreti della scultura del secondo Novecento. Un ricordo di lui in alcune
testimonianze.
Andrea Emiliani: "E'
stato un uomo di grande vivacità intellettuale, creatore di gag
comiche straordinarie. Questa intelligenza entrò nel suo fare plastico,
con una grande capacità di aggiornamento quando, dal Naturalismo,
seppe andare verso la grande scultura inglese, penso ad Armitage, a Chadwik".
Adriano Baccilieri:
"In Quinto, l'uomo, l'artista e l'insegnante furono aspetti interagenti,
pur nella loro contraddittorietà.Mi piace ricordare il suo spirito
che fu popolare, ma al livello più alto possibile; e le radici,
non solo quelle accademiche, penso soprattutto ad Ercole Drei, ma più
indietro fino ai modellatori bolognesi del Sei e Settecento, tradizione
autoctona, che gli giunse anche attraverso Cleto Tomba. E poi le sue sculture
verticali, sospese sopra un punto infinitesimale. La scultura, era solito
dire ai suoi allievi, con colorita espressione dialettale, non deve
dormire in cavezza, cioè deve liberarsi del suo peso, essere
lieve. Spero che l'équipe che lavorava con lui potrà portare
a termine le imprese da lui iniziate, come la serie delle Fontane del Consorzio
Acque di Forlì".
Mario Nanni: "E' stato
un inventore di forme notevoli, di sculture d'ambiente e urbane, senz'altro
uno degli scultori più importanti d'Italia, a Bologna poi, è
lo
scultore, il maestro".
Bruno Raspanti: "Mi
ha insegnato a vedere il senso delle cose, attraverso flash di immagini.
Aveva un senso di scultura epica, legata ad una misura antica".
Bruno Nanni: "Il suo
carattere franco, aperto, gli ha forse impedito di avere maggiori riconoscimenti,
che avrebbe certamente meritato. Mi auguro che la Galleria d'arte moderna
di Bologna possa dedicargli quella mostra che da vivo non ha potuto avere".
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