Daniela Bellotti      "Antologia di Scritti sull'Arte"                                                                                                     Le Grandi Mostre

Attorno a Vermeer. I volti, la luce, le cose.

 

Palazzo Fava, via Manzoni, Bologna

8 Febbraio - 25 maggio 2014

 

Testo pubblicato su Art Journal, mar. apr. 2014

 

Piero Guccione, Piccola veduta di Delft (da Vermeer), 1986
Franco Sarnari, Cancellazione (da Vermeer), 2013
Piero Vignozzi, "La merlettaia (d'après Vermeer), 2013

Giuseppe Colombo, ... dalla lezione di musica, 2013

Vermeer 2014

 

S'intitola "Attorno a Vermeer. I volti, la luce, le cose" la mostra riservata agli artisti contemporanei in corso a Palazzo Fava in concomitanza con il Seicento fiammingo.

 


di Daniela Bellotti

Un boom di prenotazioni on-line e file all’ingresso per i biglietti messi a disposizione in più ogni giorno, per ammirare i 37 quadri di maestri del Seicento fiammingo, provenienti dal Mauritshuis de L’Aia, il Museo statale olandese che è in restauro e che al termine della esposizione bolognese custodirà questi capolavori per sempre. La mostra è soprattutto un fenomeno mediatico che ruota come una galassia attorno ad una stella, la famosa “ragazza” di Vermeer, che deve la sua notorietà al romanzo best seller di Tracy Chevalier e al film interpretato da Scarlett Johansson. Una fanciulla dipinta quattro secoli fa che è entrata nell’immaginario degli anni Duemila con la forza comunicativa di una icona pop. Nella scia di tale successo, capace da solo di esercitare un ruolo di attrazione mondiale (si parla persino di alcuni casi di sindrome di Stendhal), è costruita una esposizione rigorosa che, forte della magia di quel solo sguardo, conduce un vasto pubblico a immedesimarsi in un’epoca lontana e a riscoprirne il fascino squisitamente pittorico.
Così, da quella che era una dimensione museale definitiva, il Seicento olandese torna sotto i riflettori riproponendosi come ambito d’attenzione per i pittori contemporanei. E andiamo al punto che più interessa, proprio in quest’ottica: la mostra dimostra come verso la metà del XVII secolo, grazie ad alcuni pittori olandesi eccezionali, si sia compiuta una apertura epocale nell’ambito della figurazione di genere, che è all’origine delle tematiche della modernità, e come ciò sia avvenuto all’interno di un nuovo sistema di produzione e circolazione commerciale delle opere stesse.

Come testimonianza della fecondità di questo periodo artistico, al piano superiore di Palazzo Fava si può visitare, con lo stesso biglietto della mostra, un omaggio della pittura italiana contemporanea al Seicento, dal titolo “Attorno a Vermeer. I volti, la luce, le cose”. Il curatore Marco Goldin ha selezionato ventisei artisti, per un progetto impegnativo, con un piano di riferimento tanto prestigioso e l’opportunità di tracciare delle rotte di avvicinamento con una materia difficilissima, restando evidentemente nei limiti di una elaborazione corretta, senza trascendere dal contesto e dalla circostanza. A dare il “la” in apertura, la testimonianza di un maestro come Piero Guccione, che negli anni ottanta realizzò la “Piccola veduta di Delft (da Vermeer)”, con un’atmosfera che pare vapore condensato, memore di stagioni rese nebulose nella lontananza; il pittore siciliano qui si rivela in comunione col grande olandese, al punto da definire una sorta di poesia a due voci. Si snodano poi le opere realizzate per la rassegna, che rivelano come questa “mission impossibile” sia stata affrontata da ciascuno sfiorando a piccole dosi l’aura vermeeriana. Di fronte a una pittura, così sublime e piena nella rappresentazione, gli artisti di oggi sono obbligati in primo luogo ad una riflessione sulla bellezza, sulla rivelazione di un’armonia che nella sua compiutezza è perduta e non più riproponibile. I d’apres per molti degli artisti presenti non possono che essere minimali, puntare solo su alcuni elementi da ricondurre all’interno del proprio lessico. Così Franco Sarnari in “Cancellazione ”, Andrea Gotti con “Il lampadario di Vermeer”, Graziella Da Gioz con “Interno-esterno” in cui il lembo di una tenda gialla basta a segnalare la soglia di una dimensione illusoria. La scelta di estrapolare alcuni particolari fortemente iconici, per ricostruire una possibile visione suggerisce a Mario Raciti la sua “Donna che guarda”, a Giuseppe Colombo “La lezione di musica”, a Piero Vignozzi “La merlettaia”. Dalle stanze d’allora, lievita un teatro di gesti che si ripetono in una sospensione fantastica: in questa dimensione si muovono Franco Polizzi e Giuseppe Puglisi. Un interno con magiche levitazioni è anche quello immaginato da Vincenzo Scolamiero; mentre Piero Zuccaro inventa l’atelier del pittore in una sfarzo di luce. Ancora il silenzio si rivela un’ampia fonte di ispirazione, un silenzio che diventa protagonista per Cesare Mirabella che affida ad una natura morta in luce azzurra memorie oggettuali allusive ad una dimensione spirituale; Matteo Massagrande ricostruisce ambienti vuoti e decadenti, in cui permane un forte senso di assenza; Cetty Previtera in “Custodire il silenzio” amplifica un frammento della figura della Lettrice fino a trasformarla in una massa intrisa di luce blu oltremare; Laura Barbarini accenna invece ad una destrutturazione quasi cubista della figura. Suggestioni rigorose sul piano dell’astrazione per Paolo Iacchetti ne “Gli occhi”, per Silvio Lacasella nelle sue variazioni di luce, per Maurizio Pierfranceschi con un interno ridotto a scansioni ritmiche. Diverso il sentire che muove Franco Pedrina che introduce un senso di consunzione con le sue tracce residuali, logoramento che anche Attilio Forgioli rappresenta. Gli esterni, le vedute olandesi, le luci diurne tornano nelle opere di Corrado Bonicatti, Franco Dugo, Vincenzo Nucci, Enrico Lombardi. Così vicini, così lontani, segni a stento riconoscibili tornano a galla dopo la trascodifica nel linguaggio attuale in Roberto Casiraghi e in Francesco Stefanini; una piuma, un’ombra, un colore; lenti deformanti e microscopi sono gli strumenti di analisi con cui gli artisti hanno percorso l’universo vermeeriano, per riportare fuori dal labirinto originario, una pennellata di colore, un chiarore di luce, una forma vaga e ricominciare il viaggio della pittura. Va sottolineato che nessuno ha affrontato l’icona di più forte impatto, la ragazza con l’orecchino di perla, tutti sono rimasti a debita distanza da lei, rispettandone l’unicità, quell’aura che neppure la contaminazione mediatica ha scalfito; e forse non volendo rischiare in alcun modo la chiave interpretativa più forte che l’artista di oggi spesso usa con i capolavori: la dissacrazione.

 

 

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