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Attorno a Vermeer. I volti, la luce, le cose.
Palazzo Fava, via Manzoni, Bologna
8
Febbraio - 25 maggio 2014
Testo pubblicato su Art Journal, mar. apr. 2014
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Vermeer 2014
S'intitola "Attorno a Vermeer. I volti, la
luce, le cose" la mostra riservata agli artisti contemporanei in corso a
Palazzo Fava in concomitanza con il Seicento fiammingo.
di Daniela Bellotti
Un boom di prenotazioni on-line e file
all’ingresso per i biglietti messi a disposizione in più ogni giorno, per
ammirare i 37 quadri di maestri del Seicento fiammingo, provenienti dal
Mauritshuis de L’Aia, il Museo statale olandese che è in restauro e che al
termine della esposizione bolognese custodirà questi capolavori per sempre.
La mostra è soprattutto un fenomeno mediatico che ruota come una galassia
attorno ad una stella, la famosa “ragazza” di Vermeer, che deve la sua
notorietà al romanzo best seller di Tracy Chevalier e al film interpretato
da Scarlett Johansson. Una fanciulla dipinta quattro secoli fa che è entrata
nell’immaginario degli anni Duemila con la forza comunicativa di una icona
pop. Nella scia di tale successo, capace da solo di esercitare un ruolo di
attrazione mondiale (si parla persino di alcuni casi di sindrome di
Stendhal), è costruita una esposizione rigorosa che, forte della magia di
quel solo sguardo, conduce un vasto pubblico a immedesimarsi in un’epoca
lontana e a riscoprirne il fascino squisitamente pittorico.
Così, da quella che era una dimensione museale definitiva, il Seicento
olandese torna sotto i riflettori riproponendosi come ambito d’attenzione
per i pittori contemporanei. E andiamo al punto che più interessa, proprio
in quest’ottica: la mostra dimostra come verso la metà del XVII secolo,
grazie ad alcuni pittori olandesi eccezionali, si sia compiuta una apertura
epocale nell’ambito della figurazione di genere, che è all’origine delle
tematiche della modernità, e come ciò sia avvenuto all’interno di un nuovo
sistema di produzione e circolazione commerciale delle opere stesse.
Come testimonianza della fecondità di
questo periodo artistico, al piano superiore di Palazzo Fava si può
visitare, con lo stesso biglietto della mostra, un omaggio della pittura
italiana contemporanea al Seicento, dal titolo “Attorno a Vermeer. I volti,
la luce, le cose”. Il curatore Marco Goldin ha selezionato ventisei artisti,
per un progetto impegnativo, con un piano di riferimento tanto prestigioso e
l’opportunità di tracciare delle rotte di avvicinamento con una materia
difficilissima, restando evidentemente nei limiti di una elaborazione
corretta, senza trascendere dal contesto e dalla circostanza. A dare il “la”
in apertura, la testimonianza di un maestro come Piero Guccione, che negli
anni ottanta realizzò la “Piccola veduta di Delft (da Vermeer)”, con
un’atmosfera che pare vapore condensato, memore di stagioni rese nebulose
nella lontananza; il pittore siciliano qui si rivela in comunione col grande
olandese, al punto da definire una sorta di poesia a due voci. Si snodano
poi le opere realizzate per la rassegna, che rivelano come questa “mission
impossibile” sia stata affrontata da ciascuno sfiorando a piccole dosi
l’aura vermeeriana. Di fronte a una pittura, così sublime e piena nella
rappresentazione, gli artisti di oggi sono obbligati in primo luogo ad una
riflessione sulla bellezza, sulla rivelazione di un’armonia che nella sua
compiutezza è perduta e non più riproponibile. I d’apres per molti degli
artisti presenti non possono che essere minimali, puntare solo su alcuni
elementi da ricondurre all’interno del proprio lessico. Così Franco Sarnari
in “Cancellazione ”, Andrea Gotti con “Il lampadario di Vermeer”, Graziella
Da Gioz con “Interno-esterno” in cui il lembo di una tenda gialla basta a
segnalare la soglia di una dimensione illusoria. La scelta di estrapolare
alcuni particolari fortemente iconici, per ricostruire una possibile visione
suggerisce a Mario Raciti la sua “Donna che guarda”, a Giuseppe Colombo “La
lezione di musica”, a Piero Vignozzi “La merlettaia”. Dalle stanze d’allora,
lievita un teatro di gesti che si ripetono in una sospensione fantastica: in
questa dimensione si muovono Franco Polizzi e Giuseppe Puglisi. Un interno
con magiche levitazioni è anche quello immaginato da Vincenzo Scolamiero;
mentre Piero Zuccaro inventa l’atelier del pittore in una sfarzo di luce.
Ancora il silenzio si rivela un’ampia fonte di ispirazione, un silenzio che
diventa protagonista per Cesare Mirabella che affida ad una natura morta in
luce azzurra memorie oggettuali allusive ad una dimensione spirituale;
Matteo Massagrande ricostruisce ambienti vuoti e decadenti, in cui permane
un forte senso di assenza; Cetty Previtera in “Custodire il silenzio”
amplifica un frammento della figura della Lettrice fino a trasformarla in
una massa intrisa di luce blu oltremare; Laura Barbarini accenna invece ad
una destrutturazione quasi cubista della figura. Suggestioni rigorose sul
piano dell’astrazione per Paolo Iacchetti ne “Gli occhi”, per Silvio
Lacasella nelle sue variazioni di luce, per Maurizio Pierfranceschi con un
interno ridotto a scansioni ritmiche. Diverso il sentire che muove Franco
Pedrina che introduce un senso di consunzione con le sue tracce residuali,
logoramento che anche Attilio Forgioli rappresenta. Gli esterni, le vedute
olandesi, le luci diurne tornano nelle opere di Corrado Bonicatti, Franco
Dugo, Vincenzo Nucci, Enrico Lombardi. Così vicini, così lontani, segni a
stento riconoscibili tornano a galla dopo la trascodifica nel linguaggio
attuale in Roberto Casiraghi e in Francesco Stefanini; una piuma, un’ombra,
un colore; lenti deformanti e microscopi sono gli strumenti di analisi con
cui gli artisti hanno percorso l’universo vermeeriano, per riportare fuori
dal labirinto originario, una pennellata di colore, un chiarore di luce, una
forma vaga e ricominciare il viaggio della pittura. Va sottolineato che
nessuno ha affrontato l’icona di più forte impatto, la ragazza con
l’orecchino di perla, tutti sono rimasti a debita distanza da lei,
rispettandone l’unicità, quell’aura che neppure la contaminazione mediatica
ha scalfito; e forse non volendo rischiare in alcun modo la chiave
interpretativa più forte che l’artista di oggi spesso usa con i capolavori:
la dissacrazione.
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